SE DOMANDARE E' LECITO... PERCHE' LO FACCIAMO SEMPRE MENO?

In un suo articolo pubblicato su Internazionale, l’esperta di comunicazione Annamaria Testa parla della difficoltà di fare domande al crescere dell’età.
Infatti, se nei primi anni di vita si fanno centinaia di domande al giorno, di cui semplici 1/3 delle volte e più complesse i 2/3 delle volte (a supporto, la Testa cita nel suo articolo uno studio inglese del 2013 ed uno studio dell’Università del Michigan del 2009), usando soprattutto i “come?” e “perché?” come strumenti, per i bambini, per capire il mondo, dopo questa età -e con l’accesso alla formazione scolastica- la quantità di domande diminuisce in modo rapido e significativo.
Cosicché, da adulti, diventa difficile tornare a fare domande, anche perché queste presuppongono una relazione di scambio tra le persone (l'autrice dell'articolo paragona la relazione che si pone tra le persone attraverso le domande a “quel gioco che consiste nel lasciarsi andare all’indietro, confidando che la persona dietro di noi ci afferri in tempo e ci sostenga”) e la capacità di “mettere in gioco il proprio patrimonio di informazioni”, per accogliere la nuova informazione ottenuta, nel caso questa contraddica in qualche modo i dati già posseduti.
Per cui, quelle che a noi sembrano domande, in fondo non sono “reali” domande, perché o conosciamo già la risposta oppure perché le formuliamo in modo tale da ottenere la risposta desiderata. In pratica, domandiamo per confermare qualcosa che conosciamo già e non per accrescere la nostra conoscenza.
Inoltre, da adulti rinunciamo a fare domande per pigrizia, rassegnazione o timidezza. Pertanto, si domanda l’esperta di comunicazione, “quante domande potenzialmente fertili riguardanti noi stessi, le nostre relazioni e i fatti e le dinamiche del mondo restano inespresse, sospese nell’aria ferma degli uffici, delle scuole, dei laboratori, nelle case?”. In fondo, anche questa sembra una domanda "tipica" che si fa da adulti, visto che la risposta sembra scontata: tante.
E così accade che nei convegni lo spazio per le domande sia sempre poco (e pure quando, dal pubblico, qualcuno prende la parola il più delle volte lo fa per fare considerazioni e non domande), nelle aule universitarie fare domande è una pratica poco diffusa ed anche negli uffici domandare diventa una perdita di tempo o, peggio, un’ammissione di incompetenza.
Tuttavia, le domande sono una delle basi del pensiero creativo, così come la curiosità su sé stessi e sugli altri. Quindi, suggerisce la Testa, “dovremmo ricordarci un po’ più spesso che ogni domanda che rinunciamo a fare è un’occasione perduta non solo in termini di comprensione, di conoscenza e di relazione, ma anche in termini di invenzione. I bambini di quattro anni lo sanno benissimo”.
E se lo sappiamo in tenera età, perché poi -crescendo- non ce lo ricordiamo più?
Fonte: Internazionale.it