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I TALENTI DA CERCARE? CREATIVI E CONFLITTUALI

Sono gli atteggiamenti preferiti dai direttori del personale: solo così si innova e si può far crescere il business

Se in azienda non si lascia spazio alla creatività e alla divergenza di visioni, il rischio per l’organizzazione è di non poter innovare e di non essere competitiva nel meglio termine. E’ quanto emerge dall’”HR Trends and Salary Report 2017”, realizzato da Randstad Professionale (società attiva nella ricerca e selezione di middle, senior e top management) e Asag (Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli) dell’Università Cattolica di Milano, in anteprima su L’Economia.

I dati e le opinioni

Il 43% delle direzioni del personale pensa che la “stupidità funzionale”, ovvero l’atteggiamento di adesione acritica alle direttive dei vertici aziendali, porti al fallimento degli obiettivi dell’impresa, contro un 36% che invece ne da un giudizio positivo. Quando invece si parla del conflitto creativo, il 64% lo considera uno strumento di lavoro efficace e proficuo sotto ogni punto di vista, mentre solo il 22% ritiene che sia negativo per i risultati aziendali. E meno di un dirigente HR su tre si adopera concretamente per sostenere un sano confronto critico in azienda.

“L’indagine rivela una netta polarizzazione all’interno delle direzioni del personale fra chi ritiene che la stupidità funzionale porti al successo o al fallimento degli obiettivi aziendali”, commenta Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad Italia.

Per Caterina Gozzoli, invece, direttrice ASAG, “se da un lato la tendenza è cercare stabilità, a ripercorrere ciò che già è stato un valore, e quindi a cercare omogeneità tra le persone, dall’altro ci si misura con la differenza e il conflitto degli attori coinvolti. Questa oscillazione, che fa parte in maniera fisiologica dei processi di lavoro, in alcuni momenti può portare l’organizzazione in pratiche di lavoro già note, condivise e rassicuranti ma anche meno aperte al nuovo. Quindi la stupidità diventa funzionale perché è un modo di proteggersi”.

La ricerca evidenzia come anche il talento per emergere debba essere messo in dialogo con le culture organizzative specifiche delle singole aziende. “I talenti per essere trattenuti hanno bisogno non solo di un riconoscimento salariale o di benefit, ma anche di un buon clima di lavoro, senso di appartenenza ed una identificazione con l’azienda e di una progettualità condivisa in cui crescere”, aggiunge la docente. Le principali ragioni che spingono oggi i dipendenti a rassegnare le dimissioni sono: condizioni economiche migliori, possibilità di più rapidi avanzamenti di carriera altrove (33%) e scelta di cambiare professione (32%). Al contrario, le aziende per trattenerli, puntano su bonus (62%), piani di formazione e accrescimento delle competenze (58%), mense aziendali o ticket restaurant (57%).

Ben 8 aziende su 10 sono pronte ad assumere nel 2017, ma la maggior parte trova candidati non idonei per carenza di competenze professionali (60%), poca esperienza lavorativa (47%) e scarsa conoscenza delle lingue straniere (35%).

Il nuovo che avanza

Per capire come le imprese accolgono il nuovo, la ricerca suddivide il campione di dirigenti HR in tre categorie: i conservatori, gli esploratori ed i costruttori. I conservatori (il 45% del campione) hanno atteggiamenti difensivi che portano ad evitare il conflitto creativo, perché genera disordine e inefficienza, e a sostenere in modo in condizionato le prassi aziendali. Gli esploratori (il 31%) pensano che la stupidità funzionale riduca la vitalità e la competitività delle aziende accumuli problemi interni e inerzia sul mercato, mentre considerano il conflitto creativo necessario per l’innovazione organizzativa, portatore di nuove idee. Infine, i costruttori (il 24%) vedono molti ostacoli di natura organizzativa e culturale da superare per attuare il cambiamento necessario. In particolare, affinché il conflitto creativo diventi prassi aziendale servono una cultura aziendale che lo consenta e dei team leader in grado di gestirlo.

Fonte: Barbara Millucci, Il Corriere della Sera, 3 luglio 2017.

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